Capital Group: L’eccezionalismo US(D) non è finito

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A cura di Flavio Carpenzano, Investment Director Reddito Fisso di Capital Group

L’anno è iniziato con l’impennata dei mercati del rischio sulla scia dell’ottimismo per l’elezione del Presidente Trump e della narrativa dell’eccezionalismo americano. Le cose sono cambiate con il “Liberation Day” dell’America e l’applicazione di dazi reciproci nel resto del mondo. Da allora si sta osservando un allontanamento degli investitori dagli asset denominati in dollari.

Alcuni segnali indicano questo trend dei mercati azionari, dove gli investitori privilegiano i mercati europei rispetto a quelli statunitensi. Lo dimostrano i grafici Morningstar sotto riportati, che evidenziano un calo della domanda di azioni large cap statunitensi a fronte di un contemporaneo incremento significativo dell’azionario large cap europeo, con gli investitori che cercano di ridurre il sottopeso sulla regione. Tuttavia, sembra che questo adeguamento non stia avvenendo in modo altrettanto evidente sul mercato obbligazionario. La domanda di strategie obbligazionarie globali e statunitensi è cresciuta o è rimasta stabile.

Secondo noi, probabilmente ci sono due ragioni principali per cui gli investitori obbligazionari non abbandonano il dollaro USA: 1) i rendimenti nominali e reali negli Stati Uniti sono ancora interessanti (anche dopo la copertura del rischio di cambio) e 2) non c’è una vera alternativa al dollaro USA.  

È improbabile che il dollaro USA perda il suo status di riserva nell’immediato futuro

La retorica sul fatto che il dollaro stia perdendo il suo status di valuta di riserva ha guadagnato consensi, con gli investitori esteri che starebbero riducendo l’esposizione alle obbligazioni statunitensi. Nonostante una maggiore diversificazione, se ci si concentra sui fatti e sui numeri emerge un quadro diverso per il mercato dei Treasury e del dollaro USA.   

  1. Il gruppo di detentori esteri di Treasury USA si è gradualmente ridotto (ben prima degli eventi attuali), ma resta uno dei principali gruppi di investitori. Spostando l’attenzione sul mercato dei Treasury USA, gli investitori esteri rappresentano circa il 31% dell’esposizione totale. La loro quota è gradualmente diminuita negli ultimi due decenni dal picco del 50% circa nel periodo della crisi finanziaria globale. Questo calo è dovuto in gran parte alla riduzione della proprietà da parte delle istituzioni ufficiali (banche centrali e altre autorità pubbliche). La proprietà del settore privato non USA (sia individui che istituzioni) è stata più stabile e, in effetti, dal 2021 l’esposizione è aumentata.1
  2. La volatilità di aprile nelle aste dei Treasury non è un segnale del fatto che gli investitori esteri stessero boicottando i titoli del Tesoro USA. La percentuale di investitori esteri che hanno partecipato alle aste dei Treasury ad aprile è in linea con la media degli ultimi 3 e 12 mesi. Questo, dunque, sembra confermare che, con rendimenti ancora elevati e interessanti, gli investitori esteri non stanno abbandonando i Treasury USA.  
  3. I timori su chi finanzierà il deficit statunitense sembrano enfatizzati. I dati mostrano che i fondi comuni di investimento del Tesoro USA sono cresciuti e restano solidi. In particolare, le famiglie statunitensi contribuiscono a finanziare il deficit, con gli investitori che aggiungono i Treasury USA ai loro portafogli per beneficiare di rendimenti ai massimi pluriennali2.

Dal 2018, le banche centrali diversificano la loro esposizione alle riserve valutarie rispetto al dollaro statunitense. Dal 2018 in poi l’esposizione al dollaro USA si è stabilizzata. A nostro avviso, è improbabile che ci saranno ulteriori riduzioni significative delle riserve in dollari USA, dal momento che non ci sono molte alternative.

Pur avendo beneficiato dell’attuale volatilità del mercato dei Treasury USA l’oro resta ampiamente volatile; pertanto, non può rappresentare un’ampia componente delle riserve valutarie. Per contro, l’euro può essere considerato un’alternativa ai Treasury USA, ma le dimensioni del mercato dei titoli di Stato tedeschi di alta qualità (€ 1.500 miliardi di euro) rimane una frazione di quello dei Treasury USA (14.000 miliardi di dollari), limitandone l’utilizzo3

Dunque, mentre le banche centrali probabilmente continueranno a diversificare gradualmente le loro riserve valutarie, i limiti strutturali delle eventuali alternative dovrebbero ridurre il rischio di vendite dirette di Treasury USA.

Non esiste una vera alternativa al dollaro per chi investe nel credito

Mentre i mercati dei titoli di Stato sono ragionevolmente ben distribuiti in termini geografici (da un punto di vista valutario), i mercati del credito globali continuano a essere dominati dal dollaro USA. Le obbligazioni dei mercati emergenti in valuta forte sono prevalentemente in dollari USA; anche il mercato high yield è incentrato sugli Stati Uniti: qui, le emissioni in dollari rappresentano oltre l’80% del mercato. Il segmento investment grade è quello più diversificato, ma anche in questo mercato a dominare è il dollaro, con oltre il 65% delle emissioni in USD. Un’ampia percentuale delle emissioni in euro - la seconda valuta del segmento investment grade - è rappresentata da titoli finanziari (banche e assicurazioni). La quota effettiva di emissioni corporate non finanziarie è molto più piccola. È per questo che in Europa i prestiti bancari, più che i mercati delle obbligazioni pubbliche, rimangono la principale fonte di finanziamento del settore corporate. Anche se è previsto un aumento dell’accesso ai mercati dei capitali dell’Eurozona, per il momento si resta più sul piano teorico che pratico. Nell’immediato futuro, il mercato del debito corporate sarà prevalentemente denominato in dollari.

C’è valore nelle obbligazioni in dollari, ma gli investitori non USA farebbero meglio a coprirsi contro il rischio di cambio

Per le ragioni addotte sopra, non prevediamo un cambiamento sostanziale nella domanda di obbligazioni denominate in dollari USA. Tuttavia, siamo consapevoli del rischio che il dollaro USA possa continuare a deprezzarsi rispetto ad altre valute, incluso l’euro. Pertanto, crediamo sia importante che gli investitori obbligazionari non USA, come quelli in Europa, coprano il proprio rischio valutario.

Questo sebbene il costo della copertura del dollaro statunitense in euro a 1 mese sia salito a circa il 2,32% (al 31 maggio 2025). In questo modo, gli investitori si assicurano che il rendimento e la volatilità della loro allocazione al credito USA dipendano dal rischio di interesse e di credito, e non dal rischio di cambio.

Ad esempio, da inizio anno, nonostante il clamore mediatico e la volatilità negli Stati Uniti, gli investitori europei avrebbero ottenuto risultati migliori se avessero investito nei mercati dei Treasury e delle obbligazioni corporate USA (con copertura in euro), anziché nei rispettivi mercati dei titoli di Stato tedeschi e delle obbligazioni corporate in euro. Non sarebbe stato così, se non avessero coperto il rischio valutario.

La buona notizia per gli investitori europei è che, grazie agli elevati rendimenti del credito e al differenziale dei tassi di interesse tra Stati Uniti ed Eurozona, i rendimenti restano interessanti anche al netto dei costi di copertura. In altre parole, gli investitori in euro possono continuare a investire nei mercati obbligazionari statunitensi più grandi, più liquidi e più diversificati senza sacrificare il rendimento.

Adottando un approccio creditizio diversificato nel debito denominato in dollari USA e coprendo la conseguente esposizione valutaria in euro, gli investitori possono comunque ottenere un rendimento interessante e competitivo senza assumere alcun rischio valutario, che aumenterebbe la volatilità e da cui probabilmente dipenderebbe la maggior parte del rendimento totale.

[1] Fonte: Treasury Borrowing Advisory Committee, 30 aprile 2025, e Federal Reserve, dicembre 2024

2 Basato su dati e analisi di BofA Global Research e Capital Group, giugno 2025. 

3 Basato sui dati degli indici di Bloomberg Barclays al 31 marzo 2025

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