A cura di Wolf von Rotberg, Equity Strategist di J. Safra Sarasin
Il recente cambio al vertice del Partito Liberal Democratico giapponese ha alimentato le speranze di un ritorno delle misure di stimolo in stile Abenomics, con conseguente rinnovata debolezza dello yen e sostegno per il mercato azionario giapponese.
La nuova leader, Sanae Takaichi, ha ricoperto vari ruoli sotto l'ex primo ministro Shinzo Abe ed è stata una convinta sostenitrice delle sue politiche delle “tre frecce” (riforme strutturali, stimoli monetari e stimoli fiscali) a metà degli anni 2010.
Negli ultimi anni ha continuato a sostenere politiche più favorevoli, ha criticato la Banca del Giappone (BoJ) per aver aumentato i tassi nel 2024 e recentemente ha affermato che le politiche della BoJ dovrebbero allinearsi maggiormente agli obiettivi del governo.
A nostro avviso, le aspettative di un indebolimento eccessivo dello yen potrebbero essere esagerate, limitando il potenziale di sovraperformance delle azioni giapponesi.
In primo luogo, il quadro dell'inflazione in Giappone è cambiato, limitando il margine di manovra della BoJ in termini di allentamento della politica monetaria e il potenziale di ulteriore indebolimento dello yen. Sotto Abe, la deflazione era considerata un rischio maggiore dell'inflazione, ma dal 2022 l'inflazione core ha costantemente superato il 2%.
Negli ultimi mesi l’inflazione core ha addirittura superato i livelli registrati negli Stati Uniti e nell'area dell'euro, un fatto impensabile solo pochi anni fa. In questo contesto, un indebolimento della valuta in un'economia fortemente dipendente dalle materie prime importate potrebbe alimentare ulteriori pressioni inflazionistiche e provocare una forte opposizione interna.
In secondo luogo, puntare a una valuta più debole potrebbe non solo incontrare opposizione interna, ma anche provocare una reazione negativa a livello globale. A marzo, il presidente degli Stati Uniti Trump ha puntato il dito contro il Giappone, sostenendo che stesse indebolendo la propria valuta per ottenere un vantaggio commerciale sleale, un'accusa che ripete da anni, se non da decenni.
Il recente accordo commerciale tra Giappone e Stati Uniti potrebbe essere compromesso se il Presidente Trump dovesse considerare il rinnovato indebolimento dello yen come una pratica commerciale sleale, un'impressione che qualsiasi nuovo governo vorrebbe probabilmente evitare.
Infine, la recente debolezza dello yen ha ridotto il divario con i rendimenti del Treasury USA a 30 anni, un fattore chiave per la valuta negli anni passati. Un'ulteriore pressione al ribasso sullo yen richiederebbe probabilmente un nuovo aumento sostanziale della parte lunga della curva dei rendimenti statunitense, cosa che non prevediamo nel breve termine.
Questa prospettiva sullo yen giapponese ha implicazioni significative per l'andamento dell'azionario giapponese. La performance relativa del mercato azionario giapponese rispetto a quello globale ha registrato fluttuazioni costanti in linea con l'andamento dello yen.
In genere, le azioni giapponesi sovraperformano quelle globali (esclusi gli Stati Uniti) di circa il doppio ogni volta che lo yen si deprezza. Ad esempio, se lo yen ponderato per il commercio scende del 10% in sei mesi, le azioni giapponesi sovraperformano di circa il 20% rispetto alle azioni globali (esclusi gli Stati Uniti).
Ai livelli attuali dello yen, si prevede solo un rialzo marginale per le azioni, con ulteriori guadagni possibili solo in caso di un indebolimento sostanziale dello yen. Ciò appare improbabile per i motivi sopra esposti, nonostante la nuova premier abbia sostenuto in passato un indebolimento dello yen.