15/05/2023

Allianz IG: il dilemma delle banche centrali

Nonostante la decelerazione dell’inflazione dei prezzi al consumo, le pressioni di fondo sui prezzi restano elevate in gran parte del mondo, spingendo l’inflazione core al di sopra dei target delle banche centrali, che si aggirano per lo più attorno al 2%. Per contrastare la dinamica inflazionistica e alleggerire la situazione su un mercato del lavoro molto teso, le autorità monetarie devono indebolire in modo mirato la domanda tramite un adeguato livello di inasprimento. Ma trovare l’equilibrio ottimale per raffreddare l’attività economica senza provocare una recessione o una crisi in ambito finanziario è una sfida non indifferente. Il dilemma delle banche centrali è complicato dalla divergenza tra l’attuale resilienza dell’economia e le crescenti probabilità di una recessione il prossimo anno. Considerando le persistenti tensioni in ambito finanziario, legate in particolare alle vicende delle banche regionali USA e al segmento commerciale del settore immobiliare, il rischio di errori di politica monetaria è aumentato.

Ad aprile il nostro indicatore proprietario del flusso di dati macroeconomici globali (il Global Macro Breadth Growth Index) ha evidenziato il terzo rialzo mensile consecutivo, tuttavia i progressi non sono generali e riguardano solo determinate regioni e alcuni settori. Il miglioramento dei dati macroeconomici in Cina e nell’Eurozona è stato per certi versi controbilanciato da statistiche meno soddisfacenti negli USA, nel Regno Unito e in Giappone. Alla robusta dinamica del settore dei servizi si contrappone tuttora, in moltissimi Paesi, un’attività industriale e manifatturiera debole.

Ad aprile il nostro indice generale dell’inflazione (Macro Breadth Inflation Index) ha invece registrato un calo per il nono mese consecutivo, ma il trend di fondo dei prezzi di merci e servizi resta rigido. Il tasso core è salito ancora.

Che cosa dunque possiamo aspettarci dalla politica monetaria in un simile contesto?

Da un lato abbiamo la banca centrale statunitense Federal Reserve (Fed) che nella sua ultima riunione ha aperto uno spiraglio, prospettando una pausa nel ciclo di inasprimento a giugno, in presenza di un tasso sui Fed fund del 5-5,25%, dall’altro probabilmente la Banca Centrale Europea (BCE) e la Bank of England (BoE) alzeranno i rispettivi tassi di riferimento di altri 50 punti base entro il prossimo autunno. Sembra quindi che queste tre banche centrali manterranno i tassi elevati sino al 2024 (“higher for longer”) nonostante il contesto possa diventare in qualche modo recessivo. Tagli aggressivi dei tassi come quelli scontati dai futures sui mercati statunitensi a partire dal secondo semestre 2023 appaiono quindi prematuri.

Per quanto riguarda la Banca del Giappone vi sono forti probabilità di ulteriori adeguamenti della politica di controllo della curva dei rendimenti nel corso dell’anno, prima che venga messa la parola fine alla politica dei tassi negativi.

Nel complesso i mercati finanziari globali potrebbero dare meno attenzione alla ripresa economica a breve termine per concentrarsi maggiormente sull’incremento dei rischi di recessione a medio termine.

La settimana prossima

In tale contesto sarà interessante seguire gi sviluppi sul fronte dell’attività economica e dell’inflazione. La prossima settimana si attendono tuttavia pochi dati degni di nota. Alcuni tuttavia meritano attenzione. Da un lato perché dovrebbero intaccare le pressioni inflazionistiche, dall’altro perché la questione della recessione è ancora aperta, soprattutto negli Stati Uniti.

Lunedì si parte con la produzione industriale nei Paesi dell’Unione Europea e l’indice Empire Manufacturing relativo agli Stati Uniti. Per quanto riguarda quest’ultimo il consensus, basato sulle opinioni degli analisti interpellati, prevede un netto calo.

Martedì i riflettori saranno puntati sulla Cina. Si attendono importanti incrementi rispetto all’anno passato per produzione industriale e vendite al dettaglio, una buona notizia non solo per l’economia nazionale, ma anche per la congiuntura mondiale. Lo stesso giorno verrà pubblicato l’indicatore dell’economia tedesca ZEW, basato essenzialmente su sondaggi tra i partecipanti del mercato finanziario, che dovrebbe ricevere meno attenzione. Stando alle previsioni, dovrebbe rispecchiare gli sviluppi positivi dell’indice del sentiment economico ifo. I dati sulle vendite al dettaglio e sulla produzione industriale negli USA, attesi anch’essi per martedì, dovrebbero mostrare un andamento simile. Il consensus stima progressi per il settore delle vendite al dettaglio, mentre le previsioni per la produzione industriale sono meno rosee.

Giovedì saranno pubblicati i dati sulle prime richieste di sussidi di disoccupazione, sul clima di mercato della Federal Reserve Bank di Philadelphia e sull’acquisto di case esistenti negli USA.

Venerdì conosceremo infine i prezzi alla produzione per la Germania. Un’ulteriore decelerazione dei tassi su base annua e/o una nuova flessione su base mensile sarebbe un segnale forte per il contesto inflazionistico della Repubblica federale tedesca. Nel Regno Unito sarà inoltre reso noto l’indice GfK sulla fiducia dei consumatori, che ci dirà se la “coronation” ha sortito qualche effetto positivo.

Tutto considerato, i nuovi dati dovrebbero dipingere un quadro eterogeneo, che tuttavia non lascia spazio a una diminuzione delle pressioni inflazionistiche. Data la situazione distesa dal punto di vista tecnico, come si evince ad esempio dall’indice di forza relativa per i grandi mercati azionari, nella prossima settimana ci aspettiamo un andamento sostanzialmente laterale per i mercati.

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