19/05/2025

GAM: Downgrade a stelle e strisce

La tregua commerciale tra Stati Uniti e Cina ha attenuato i timori di recessione, pur lasciando l’inflazione sopra il target della Fed. Il taglio temporaneo dei dazi offre sollievo, ma l’impatto sui prezzi resta incerto. Finora i rincari attesi sui beni importati sono stati contenuti, segno che i rivenditori stanno assorbendo i costi o vendendo scorte precedenti. Resta però il rischio che il riassortimento rapido, in un contesto logistico già teso, alimenti nuove pressioni sui prezzi.

Il petrolio mostra segnali di debolezza per timori di eccesso d’offerta: da un lato, un possibile accordo tra Iran e Stati Uniti sul nucleare potrebbe riportare sul mercato volumi oggi sotto sanzione; dall’altro, l’OPEC+ ha iniziato solo parzialmente a rispettare l’aumento programmato della produzione (25.000 barili al giorno in aprile contro i 138.000 previsti), ma intende accelerare nei prossimi mesi. Sullo sfondo, l’aumento delle scorte USA e l’incertezza sulla domanda pesano sull’equilibrio del mercato. 

Il refrain di un dollaro debole resta la narrativa dominante. Tuttavia, se da un lato i dati macro più deboli hanno sostenuto il Treasury, un ulteriore allargamento del deficit potrebbe riaccendere pressioni sulla parte lunga della curva. In questo contesto, una svalutazione marcata del dollaro rischierebbe di disincentivare gli investitori esteri proprio quando il Tesoro ha maggiore bisogno del loro supporto. Non a caso, Moody’s, ultima tra le principali agenzie di rating a farlo, ha declassato il rating degli Stati Uniti da Aaa a Aa1, citando l’aumento incontrollato di debito e deficit come fattori che indeboliscono la credibilità finanziaria del Paese e potrebbero comportare costi di finanziamento più elevati. Il fatto che il Dollari Index non abbia violato i minimi settimanali indica però una certa cautela da parte del mercato. 

La settimana scorsa si chiude con un altro segnale debole dagli USA: la fiducia dei consumatori, nella lettura preliminare di maggio pubblicato dall’Università del Michigan, è scesa al secondo livello più basso mai registrato, con aspettative d’inflazione ai massimi dagli anni ’80-’90. Il tema dei dazi continua a pesare sul sentiment: tre intervistati su quattro lo citano spontaneamente, anche tra i Repubblicani. 

Eppure i dati mostrano che l’inflazione, almeno per ora, resta sotto controllo: ad aprile sia l’indice generale che quello core, sono saliti dello 0,2% su base mensile, sotto le attese di +0,3%. Su base annua, l’inflazione headline ha rallentato al 2,3%, minimo dal 2021, mentre il dato core è rimasto stabile al 2,8%. È il terzo mese consecutivo con letture inferiori alle previsioni, segno che la pressione inflazionistica si sta attenuando più del previsto. 

I beni esposti ai dazi, come auto nuove e abbigliamento, non mostrano ancora forti rincari: gli operatori stanno probabilmente assorbendo i costi o lavorando su scorte precedenti. Curioso l’aumento record dell’elettronica audio (+8,8% su base mensile), ma resta isolato. Tra i servizi, rallenta la spesa discrezionale, calano quelle per viaggi e tempo libero (voli e hotel in flessione), segno che i consumatori diventano più selettivi. Gli affitti continuano a essere il principale motore dell’inflazione: da soli spiegano oltre metà dell’aumento mensile complessivo. Sul fronte delle componenti più volatili, si registra un lieve rialzo dell’energia, mentre i prezzi alimentari scendono dello 0,4%, trainati da un crollo record delle uova (-12,7%), il più ampio dal 1984. 

Rimaniamo negli Stati Uniti con le vendite al dettaglio di aprile, cresciute solo dello 0,1%, in netto rallentamento rispetto al +1,7% di marzo. La debolezza è stata diffusa: 7 delle 13 categorie monitorate sono risultate in calo — tra cui auto, abbigliamento, articoli sportivi e benzina — beni spesso importati e quindi più esposti ai timori legati ai dazi. Solo ristoranti e bar hanno registrato un’espansione, confermando una certa tenuta della spesa nei servizi. I dati suggeriscono che, dopo aver anticipato gli acquisti a marzo per evitare possibili rincari, i consumatori hanno ridotto la spesa ad aprile. Le vendite del gruppo di controllo, rilevanti per il calcolo del PIL, sono diminuite dello 0,2%, segnalando un avvio debole per il secondo trimestre. 

I prezzi alla produzione negli Stati Uniti sono scesi in aprile dello 0,5%, il maggior calo dal 2019, sorprendendo al ribasso rispetto alle attese di un +0,2%. Anche al netto di alimentari ed energia, il PPI è diminuito dello 0,4%, il dato più debole dal 2015, mentre la misura core (al netto anche del commercio) ha registrato il primo calo in cinque anni (-0,1%). I dati suggeriscono che le imprese stanno assorbendo l’aumento dei costi legati ai dazi, senza trasferirli ai consumatori. Sempre ad aprile, la produzione manifatturiera è calata dello 0,4%, interrompendo una serie positiva di sei mesi. Il calo ha riguardato in particolare auto, computer e abbigliamento.

L’output complessivo è rimasto invariato, sostenuto dai servizi pubblici, mentre il settore energia ha frenato. La debolezza segue una fase di accumulo ordini nel primo trimestre per anticipare l’effetto dazi. Il quadro congiunto – vendite al dettaglio piatte, prezzi alla produzione in calo e produzione industriale in frenata – delinea un avvio incerto per il secondo trimestre. Le imprese appaiono caute, con investimenti rimandati in attesa di maggiore chiarezza su dazi e politica fiscale. Tuttavia, l’assenza di pressioni inflazionistiche rafforza l’aspettativa che la Fed possa tagliare i tassi due volte entro fine anno, contribuendo a sostenere Treasury e mercati.

La crescita dell’area euro nel primo trimestre è stata rivista al ribasso allo 0,3% (da 0,4%), pur restando sopra le attese iniziali. Il dato precede l’annuncio dei dazi USA, che rischiano di frenare ulteriormente l’attività nei prossimi mesi. L’incertezza legata al commercio globale pesa su consumi e investimenti, mentre la BCE valuta ulteriori tagli dopo i sette interventi già effettuati dal giugno 2024. I nuovi dati sulle previsioni macro verranno pubblicati a giugno. Intanto il mercato del lavoro tiene: l’occupazione è cresciuta dello 0,3%, accelerando rispetto al +0,1% di fine 2024.

I conti di Tencent e JD.com hanno rafforzato la fiducia nel comparto tecnologico cinese, grazie a una crescita dei ricavi ai massimi da anni e al supporto di misure governative. Tencent ha registrato un +13% di fatturato, con margini in miglioramento e investimenti crescenti nell’Intelligenza Artificiale, mentre JD.com ha beneficiato del programma statale di rottamazione per elettrodomestici. Più deludente Alibaba, penalizzata dalla debolezza dei consumi interni e dalla concorrenza sull’AI, nonostante l’utile netto in decisa crescita. Il titolo ha reagito male, ma il forte impegno sul fronte Intelligenza Artificiale continua a sostenere le aspettative a medio termine. Il comparto resta volatile, ma la combinazione di risultati solidi, sussidi statali e investimenti tecnologici mantiene aperta la prospettiva di un re-rating, anche grazie alla forte distanza valutativa rispetto ai colossi tech americani.

 

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