Anche ieri l’apertura in rialzo di Wall Street è stata sfruttata per vendere tutto il vendibile fuorché il petrolio: il WTI ha guadagnato oltre tre dollari al barile in parte prima dell’uscita del dato delle scorte settimanali e ha chiuso a 93,50 avvicinandosi al prezzo del Brent, che nei mesi scorsi era tre dollari superiore, e questa mattina apre a 94,50 dollari. E’ però da notare che il contratto future che scade il 20 novembre tratta due dollari e mezzo sotto, segno che stiamo assistendo a un problema di carenza di offerta di breve termine, testimoniato dal calo annunciato oggi pomeriggio delle scorte nei depositi di Cushing dove avvengono le consegne del greggio contro le posizioni sui futures.
L’oro spot ha perso un punto e mezzo finendo a 1874 dollari l’oncia mentre l’argento ha perso oltre il 2%.
E’ proseguito il ribasso del mercato dei Treasurys con il rendimento del Treasury decennale che ha chiuso a 4,65% e questo è stato sfruttato dagli analisti per spiegare il rally del dollaro, anche se sono saliti pure i rendimenti delle obbligazioni europee: l’Euro è sceso sotto quota 1,0500 ed è crollato il dollaro australiano (forse seguendo i metalli preziosi) mentre hanno chiuso invariati lo Yen, che tiene meglio nelle fasi di risk-off e il dollaro canadese, sostenuto dal prezzo del greggio.
A Wall Street l’indice SP500 dopo un’apertura in rialzo l’indice SP500 è sceso per l’intera giornata per poi recuperare nell’ultima ora e chiudere a +0,06% (grafico in basso). Tra i principali titoli si segnala l’ampio rialzo dei petroliferi Exxon Mobil e Chevron, mentre i tecnologici hanno chiuso contrastati, con Tesla che ha perso l’1,48% e Google il migliore a +1,54%.
I mercati azionari asiatici hanno chiuso in ribasso con Tokyo che ha perso l’1,48% e Hong Kong l’1,20%: continua a pesare la condizione del mercato immobiliare cinese: Evengrande è stata sospesa alla Borsa di Hong Kong dopo l’arresto del presidente.
Dal fronte macro oggi si attende l’inflazione tedesca di settembre, attesa in forte calo al 4,5%, e l’ultima revisione del PIL americano del secondo trimestre.
