18/09/2023

L'aumento dei tassi può essere inflazionistico

Tassi di interesse più elevati hanno un impatto sull’inflazione?

Le banche centrali dei principali Paesi hanno alzato significativamente i tassi dal marzo dello scorso anno, e con una velocità senza precedenti, al fine di contrastare tassi di inflazione che si sono avvicinati al 10% in Europa e negli Stati Uniti.

Il dibattito è aperto sull’effetto di queste misure.

Il principale problema è che le banche centrali possono influenzare solo alcune cause dell’inflazione, mentre queste possono essere di due tipologie, la crescita degli aggregati monetari e cambiamenti nella produttività e disponibilità di risorse.

Le banche centrali possono solo cercare di influenzare la creazione di credito da parte del settore privato, e nemmeno con precisione: possono imporre regole sulla riserva obbligatoria, possono alzare o abbassare i tassi e possono acquistare e vendere titoli di Stato, e in certi casi anche titoli obbligazionari privati ed azioni.  Tutti questi strumenti possono avere un impatto sul tasso di inflazione, ma solo in alcuni casi: non sempre.

La creazione della moneta

La gran parte della creazione della moneta attualmente è legata a due fattori, il disavanzo pubblico e gli impieghi bancari, e la composizione dei due fattori muta nel tempo. Ad esempio negli ultimi tre anni la creazione di moneta è dipesa soprattutto dal disavanzo pubblico (il governo americano ha spedito assegni ai cittadini per tre trilioni di dollari), mentre negli anni 70 è stata legata all’aumento degli impieghi bancari.

In questo momento le banche centrali stanno curando l’aumento dell'inflazione alzando i tassi come se l’inflazione fosse legata all’aumento degli impieghi bancari, ma non possono fare altrimenti, non essendo un dottore con tante medicine diverse a disposizione a seconda della malattia da curare.  I testi di macroeconomia in effetti insegnano che la banca centrale può controllare l’inflazione agendo sui tassi, e che il meccanismo di trasmissione è legato al fatto che alcuni settori dell’economia sono influenzati direttamente dal livello dei tassi di interesse.  Il settore immobiliare è considerato quello più sensibile in quanto la domanda di mutui è correlata ai tassi, e anche gli investimenti delle aziende dovrebbero essere legati al costo del denaro, anche se qui la correlazione è meno chiara.

L’aumento dei tassi di interesse per ridurre l’inflazione funziona abbastanza bene quando l’inflazione dipende dal credito eccessivo come negli anni '70 e quando il debito pubblico è basso.  Funziona abbastanza bene anche nella direzione opposta quando i tassi vengono abbassati per generare più impieghi bancari.  Esistono però altre variabili che possono influenzare il meccanismo di trasmissione: ad esempio se i prezzi degli immobili sono molto elevati rispetto ai redditi dei compratori una riduzione dal 6% al 3% dei tassi non aumenterà di molto la domanda di mutui e di immobili.

Negli anni dal 2010 in  poi le banche centrali hanno tenuto a zero i tassi e in alcuni casi in territorio negativo per stimolare la domanda di credito bancario, ma l’aumento è stato molto modesto, segno che il livello dei tassi nominali o reali non è l’unico fattore in gioco e che il controllo del credito da parte delle banche centrali è indiretto e instabile.

L’importanza della politica fiscale

Se l’inflazione è generata dall’impennata della spesa pubblica, come negli ultimi due anni, un aumento dei tassi può fare poco per ridurla.  Certamente avrà un impatto sulla creazione di impieghi bancari e ridurrà la componente di inflazione che deriva da questa, ma nel medio termine può avere l’effetto contrario, soprattutto in presenza di stock di debito superiore al 100% del PIL: è quello che sta accadendo ora.

L’aumento notevole dei tassi sta progressivamente aumentando il costo di finanziamento dei disavanzi pubblici e questo immette ulteriore moneta nelle economie sviluppate.  Il processo è lento perché la duration media delle passività è intorno ai sei anni (per gli Sati Uniti), ma più a lungo i tassi vengono tenuti sopra al 5% da parte della Federal Reserve più il costo medio sale, in quanto vengono rifinanziati vecchi titoli con rendimenti molto più bassi.  Il costo del debito USA è salito al 2,5% in agosto e continuerà a salire nei prossimi mesi (grafico in basso di Yardeni.com).

 

Negli Stati Uniti si stima che il finanziamento del disavanzo pubblico si avvicinerà al trilione di dollari nel corso dell’anno fiscale che inizia il mese prossimo e in Italia ai 100 miliardi di Euro quest’anno e il prossimo: è un aumento dei fondi che gli Stati pagano annualmente ai risparmiatori e comporta un aumento della quantità di moneta in circolazione. 

Un'analisi dettagliata dell'impatto dei rialzo dei tassi sul costo del debito USA la trovate qui.

L’impatto sull’economia e sull'inflazione dell’aumento della spesa per interessi è certamente inferiore a quello dello stesso ammontare spedito con un assegno a tutti i cittadini come fatto durante la pandemia, in quanto la propensione alla spesa dei percettori di reddito da capitale è inferiore alla media, ma rimane comunque positiva.

Il rialzo dei tassi americani negli anni ’70 non ha avuto questo effetto collaterale in quanto lo stock di debito pubblico era intorno al 30% del PIL.

La Federal Reserve e la BCE si trovano quindi a combattere l’inflazione in una fase di disavanzi pubblici in aumento strutturale per cause demografiche e programmi di spesa non riducibili, una fase di aumento notevole dei costi di  finanziamento del debito che è oltre il 100% del PIL e infine a fronte di colli di bottiglia nell’offerta di commodities come il petrolio e di offerta di mano d’opera. E’ una combinazione di fattori molto difficile, se non impossibile,  da gestire da parte di una banca centrale con un solo strumento a disposizione: per ridurre le pressioni inflazionistiche di lungo termine dovrebbe soprattutto mutare la politica fiscale, con una riduzione  dei disavanzi pubblici attraverso un aumento delle entrate e una contrazione della spesa.

Nessun governo dei Paesi sviluppati verosimilmente prenderà questa direzione politicamente perdente.

Che alternative hanno le banche centrali? Abbassare i tassi per limitare il costo del debito? Ci ha provato la Turchia con effetti disastrosi che sono passati dal crollo del cambio, ma dall'altro lato sono stati disastrosi anche gli effetti della politica argentina di portare i tassi sopra al tasso di inflazione in quanto è esploso il disavanzo pubblico.  Ripetiamo, è una situazione difficile da gestire.

Dobbiamo poi aggiungere un aspetto curioso e mai accaduto nella storia delle banche centrali: il veloce aumento dei tassi ha portato alla loro insolvenza potenziale. La Federal Reserve ad esempio ha comprato trilioni di dollari di titoli di Stato con rendimenti medi dell'1% e ora paga i depositi delle banche presso la banca centrale un bel 5% e inoltre una notevole quantità di titoli sono stati acquistati sopra la pari: ne segue che la Fed ha a bilancio 289 miliardi di dollari di perdite da spalmare nei prossimi esercizi via via che scadranno i titoli in portafoglio. Nel bilancio della scorsa settimana, che trovate qui, il patrimonio netto della Federal Reserve è indicato a -49,5 miliardi di dollari.

Niente di grave: le banche centrali non falliranno perchè a differenza delle aziende private posso stampare moneta, e la situazione rientrerà nei prossimi anni sia perchè scadranno i titoli che rendono poco e ne potranno acquistare altri con rendimenti superiori, sia perchè hanno al passivo il circolante (2,3 trilioni di dollari nel caso della Fed e 1,56 trilioni di Euro per la BCE) su cui non pagano interessi: è quindi una fase passeggera di qualche anno con patrimonio negativo. Mancheranno però centinaia di miliardi di utili per il Tesoro dei vari Stati perchè le banche centrali trasferiscono al Tesoro ogni anno gli utili prodotti, mentre le perdite vengono messe in un conto da ricoprire con gli utili futuri.

Riassumendo, il risultato del veloce rialzo dei tassi degli ultimi mesi è che nel breve stiamo assistendo a una ridiscesa delle pressioni inflazionistiche grazie alla riduzione del credito bancario, ma nel medio termine prenderà il sopravvento l’effetto inflazionistico dell’aumento dei disavanzi pubblici: è quindi poco probabile che l’inflazione torni al 2% in Europa e negli Stati Uniti nel corso di questa decade.

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